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Ogni maledetto weekend (uno)


di Stalio
27.06.2016    |    25.236    |    6 9.2
"" Io sono lento a mangiare, e terminata la pizza Elena ancora non si vedeva..."
Tutta la notte a guardare il soffitto, con gli occhi sbarrati, di un anonima camera d'albergo. La piccola luce lampeggiante dell'impianto antincendio che mi ipnotizzava, ed una domanda che mi martellava il cervello: "Perché Elena, perché?"

Elena, mia moglie, 29 anni, alta un metro/70, gran bel fisico, aveva insistito tanto per andare fuori a mangiare una pizza, ed alla fine l'avevo accontentata, pur non avendone voglia. 
Ormai erano cinque anni che eravamo sposati e lei stava passando un periodo, gia da qualche mese, al limite dell'esaurimento.
Sempre nervosa, scontrosa, irascibile. Dei giorni sembrava tranquilla, in altri invece era veramente insopportabile. Per preservare la pace famigliare cercavo di assecondarla in tutto.
Nei giorni peggiori era davvero difficile stargli vicino, ma io l'amavo, e l'amo ancora, e con pazienza sopportavo ogni cosa. Ma quello che mi aveva fatto quella sera, no, proprio no, non potevo perdonarglielo.

Tra noi a letto non c'erano mai stati problemi, almeno così pareva a me.

Quella sera, per uscire, si era vestita in modo a dir poco provocante: gonna corta, camicia aderente sbottonata sopra, con la sua seconda abbondante di tette bene in vista, stivali con i tacchi alti, i suoi bellissimi capelli lunghi neri e ricci, e con il suo culetto stellare in evidenza.
Elena non sarebbe passata inosservata neanche in quell'occasione, e a dire il vero era qualcosa che non succedeva mai. A nulla erano servite le mie raccomandazioni di vestirsi 'leggermente' più sobria, perché: "Stiamo andando a mangiare una pizza".
"Lo sai che mi piace farmi guardare, e poi ci fai una bella figura anche tu."
Effettivamente andare in giro con una donna così mi esaltava, anche se non lo davo a vedere. Però leggere quel filo d'invidia negli occhi degli altri uomini, il desiderio per la mia donna, che era solo mia, mi inorgogliva.

Elena già da due-tre giorni sembrava serena, tranquilla. Quegli sbalzi di umore non li avevo ancora capiti.

Al nostro arrivo il locale era semivuoto, c'erano solo altre 4-5 coppie, un paio di famiglie con dei bimbi ed una tavolata di cinque ragazzi giovani.

Passato circa un quarto d'ora, subito dopo aver fatto l'ordinazione, Elena era andata in bagno, e c'era stata una quindicina di minuti buoni, tanto che stavo incominciando a preoccuparmi, ma poi era tornata.
"Amore, stai bene?"
Lei, con un sorrisone: "Sto bene Giulio, ora sto benissimo, ed ho fame." 
Alludeva, ma io come potevo capire?
"Ormai dovremmo esserci."
Infatti dopo pochi minuti arrivarono le nostre pizze.
Elena letteralmente divorò la sua, poi prima che io finissi, di nuovo: "Scusami amore, devo tornare in bagno. Oggi va così."
Io, distratto: "Chiamami se hai bisogno."

Io sono lento a mangiare, e terminata la pizza Elena ancora non si vedeva. 
Dopo qualche minuto decisi di andarla a cercare, pensando che magari non stava bene e aveva bisogno di me.

Entrai nell'atrio che dava ai due bagni, quello per i maschi e quello per le femmine; la porta del bagno dei maschi era accostata e dentro non c'era nessuno, mentre quella del bagno delle femmine era chiusa. Stavo per chiamarla, quando cominciai a sentire chiaramente dei sospiri provenienti dall'interno, inequivocabili, poi una voce maschile: "Mettiti così, più giù, così, tieni, tieni." ed "hooooo, haaaa...."
Qui stanno scopando, pensai, e tornai in sala per verificare se Elena fosse tornata al tavolo. Niente. 
Forse era uscita a prendere una boccata d'aria? Andai fuori nel giardinetto ma non c'era neanche lì, pensai di andare dov'era stazionata l'auto, niente.
Rientrai nel locale proprio nel momento in cui, uno dei ragazzi della tavolata, stava uscendo dai bagni, mi guardò sorpreso, e notai sul suo viso quasi un ghigno, un sorriso beffardo e mi accorsi che anche gli altri stavano guardando verso di me.
Pensai: ma cosa cazzo hanno da guardare? 
Fu un lampo che mi colpì all'improvviso: non è che Elena? Dovevo sapere. Tornai nei bagni, la porta di quello delle femmine era ancora chiusa, ma io dovevo sapere, così presi la maniglia ed aprii la porta di botto: dentro c'era Elena, mia moglie, il mio amore, che con la carta igienica si stava asciugando del liquido biancastro che le colava lungo le gambe. 
Nel vedermi così all'improvviso, sorpresa, fece un balzo all'indietro. Il rossetto sulle labbra era un po' sbavato, e lei aveva il fiatone e le guance rosse.
"Cosa stai facendo Elena?"
"Ho fatto pipì e mi sto asciugando. Aspettami al tavolo che arrivo."
Guardandola serio: "Eri tu vero? Eri tu col ragazzo."
"Che ragazzo? Dammi due minuti ed arrivo."
Sconsolato e con la morte nel cuore tornai al tavolo, i cinque ragazzi erano alla cassa, e dopo aver pagato andarono via.

Elena arrivò dopo un paio di minuti, si era sistemato il rossetto alle labbra, e sorrideva: "Ma cosa ti viene in testa? Che ragazzo intendevi? "
"Elena vi ho sentito benissimo, non mi prendere per il culo."
"Ti sbagli Giulio, anche prima mi sentivo costipata e non riuscivo ad evacuare."
"Già, giusto. Anche prima, era sempre lo stesso o uno dei suoi amici?"
"No, dai, smettila. Perché mi dici queste cose?"
"Andiamo via, parleremo a casa."
Pagai il conto ed uscimmo fuori. In macchina non scambiammo neanche una parola, c'era un'aria pesante che si poteva tagliare con il coltello.

Arrivati a casa l'affrontai subito: "Elena dimmi la verità: da quanto tempo mi stai facendo le corna?"
"No, io ti amo, come potrei?"
Mi avvicinai, e tenendola ferma con forza, mentre lei provava a divincolarsi, le ficcai due dita dentro la fica e quando me le portai vicino al naso, non ebbi più dubbi, se mai ne avessi avuti: indubbiamente le dita odoravano di sperma maschile.
"Brava, ti faccio i miei complimenti. Qui finisce il nostro matrimonio."
Scoppiò a piangere e crollò su una sedia. 
Poi singhiozzando: "Perdonami, non so come spiegartelo."
Guardandola serio: "Non c'è niente da spiegare, mi sembra evidente."
"Per favore, Giulio."
"Sei una puttana."
"Ho sbagliato, perdonami, perdonarmi."
"No Elena, mi dispiace. Non possiamo più stare insieme."
"Ma io non posso vivere senza di te."
"Ci dovevi pensare prima."

Presi un borsone, lo riempii con l'occorrente per andare avanti qualche giorno e, con il cuore a pezzi, mentre lei piangeva seduta sul divano con le mani nei capelli, uscii da casa. Era finita.
Non ebbi il coraggio di andare dai miei, ci sarebbero state troppe domande, indagini, chiarimenti, ed io non avevo voglia di parlare con nessuno. Decisi di sistemarmi per qualche giorno in un albergo lontano una decina di km da casa.

Nei giorni successivi Elena mi martellò di telefonate, cui non risposi. Il quarto giorno, quando lo sconforto si era attenuato, decisi di rispondere ad una sua chiamata. Parlammo per un'oretta buona, il tempo volò. Mi disse che gli mancavo un sacco, che aveva bisogno di me, che mi stava aspettando a casa, che mi amava.
Ci risentimmo l'indomani, ed il giorno dopo ancora, ed alla fine riuscì a farmi dire il posto dov'ero, e nel giro di un'oretta mi piombò in albergo.
Parlammo qualche minuto poi mi saltò addosso e scopammo per ore, come non l'avevamo mai fatto. Così calda, così vogliosa, così troia, non era mai stata così. Sembrava un'altra donna. Ed io ero ancora follemente innamorato di lei.

"Giulio, ti prego, torna a casa."
"Elena, io ti amo, lo sai. Ma non riesco a togliermi dalla testa quello che è successo."
"Mettila così: se io fossi malata, mi staresti vicino?"
"Certo che si."
"Bene, allora io sono malata, e tu devi stare con me, mi devi aiutare a guarire."
"Ma non sei malata."
"Invece si."
"Elena, e se ci saranno altre 'ricadute'?"
"Se succederà ancora tu mi aiuterai a saltarne fuori. Se stiamo insieme sono sicura che tornerò normale."
Bè, almeno non mi stava giurando falsamente fedeltà eterna. In un certo senso era da ammirare.
"Guarda Elena che io non avrò una pazienza infinita." 
In pratica le stavo dicendo che qualche cornino me lo poteva anche mettere.
Scopammo ancora, poi ci addormentammo.

La mattina dopo ero pronto a tornare a casa, e lo riferii ad Elena, che mi espresse la sua gratitudine con un 'ti amo, ti amo, ti amo'.
Presi la mia roba ed insieme ci fermammo alla ricezione per pagare il conto. 
C'era un bel po' di gente, altri due clienti davanti a me, alcuni inservienti, il portiere, ed il figlio del titolare dell'albergo, un uomo sui trent'anni circa che avevo conosciuto giorni prima.
Mentre aspettavamo il nostro turno, improvvisamente Elena cominciò a rovistare nelle sue tasche, poi trafelata: "Devo aver lasciato l'anello in camera. Intanto che tu paghi, io torno su a cercarlo."
"Ok, pago e ti aspetto in macchina."
Il figlio del titolare, che aveva sentito il dialogo, si offrì di accompagnarla perché, a suo dire, ormai stavano rifacendo la camera e potevano non farla entrare.
Lì per lì non collegai il fatto, ma dopo qualche attimo, memore di ciò che era successo in pizzeria, pensai bene di andare a controllare.
Mia moglie e l'uomo avevano preso l'ascensore per salire al secondo piano, mi precipitai per le scale e correndo arrivai al piano prima di loro, e mi nascosi in una posizione strategica, dietro ad una porta socchiusa. 
L'ascensore arrivò al piano, ma  quando si aprirono le porte non uscii nessuno, ma loro c'erano dentro, e finalmente grazie ad uno specchio posto su un muro riuscii a vederli, si stavano baciando e lei aveva una mano dentro i suoi pantaloni e glielo stava menando.
"È durissimo."
"Ti piace?"
"Sto impazzendo dalla voglia."
Mentre la spingeva giù: "Allora devi fagli un omaggio."
In ginocchio, lei glielo tirò fuori, era un uccello di tutto rispetto, ed in un attimo se l'infilò in bocca e cominciò a succhiare, a segare, poi a leccare, e avanti ed indietro. Lui le teneva la testa con entrambi le mani e dettava il ritmo. Poi per qualche attimo si richiuse la porta dell'ascensore, qualcuno evidentemente l'aveva chiamato, ma loro dall'interno la fecero riaprire e schizzarono fuori nel corridoio; lei, camminando a fianco di lui gli stringeva l'uccello in mano, quindi si infilarono in una camera.
Volevo vedere fin dove si sarebbero spinti, e dal mio nascondiglio andai sulle terrazze, ne scavalcai un paio ed arrivai su quella della loro camera.
La tapparella della finestra era semi-aperta e si riusciva a vedere bene all'interno: l'uomo era disteso sul letto, e lei lo stava spompinando alla grande, i suoi lunghi capelli ricci erano sulle gambe e sulla pancia di lui, e lo faceva gemere di piacere. Poi decise di prenderla, gli andò sopra, glielo ficcò dentro e se la chiavò per una decina di minuti, in cui Elena ebbe tre orgasmi devastanti, infine lo tirò fuori, e glielo infilò di nuovo in bocca, lei era sempre sotto e lui la chiavava in bocca, finché  non sborrò e lei mandò giù  ogni cosa, continuando ancora a succhiare e a leccare la cappella.

A questo punto mi allontanai, dovevo pagare e farmi trovare in macchina. 
Non ero arrabbiato, no davvero, e neanche eccitato. Pare che molti uomini si eccitino a vedere trombare la propria moglie da altri, io no.
Piuttosto mi chiedevo come avrei potuto farla smettere, come farla tornare in se, come potevo aiutarla,  cosa potevo fare.

Quando mi raggiunse disse: "L'abbiamo trovato, l'aveva preso una delle inservienti per portarlo giù, poi il direttore non riusciva a trovarla perché lei era andata a fare un carico di lenzuola pulite, alla fine è arrivata. Meno male, me lo hai regalato tu e ci tenevo tanto."
Ammazza che fantasia, pensai.
"Non era il direttore, era suo figlio."

Continua.
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